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Pluralità dei mondi

La pluralità dei mondi è l’idea che possano esistere numerosi altri mondi che ospitano la vita e in particolare esseri intelligenti.

Dibattito nell’antica Grecia

Costellazioni e segni zodiacali dei due emisferi celesti (opera di Carlo Vanvitelli, Reggia di Caserta, prima sala della Biblioteca, XVIII secolo)
Costellazioni e segni zodiacali dei due emisferi celesti (opera di Carlo Vanvitelli, Reggia di Caserta, prima sala della Biblioteca, XVIII secolo)

In età greca il dibattito sulla pluralità dei mondi fu in gran parte filosofico e non conforme alle attuali nozioni materialistiche di cosmologia. Era un corollario alle nozioni di infinito e la pretesa moltitudine di mondi culle di vita era più vicina al concetto di universi paralleli (sia compresenti nello spazio sia infinitamente ricorrenti nel tempo) che a sistemi solari differenti.

Diogene Laerzio riferisce come Anassagora ritenesse la Luna abitata; nella sua cosmologia, i semi, unendosi e separandosi, formavano sistemi planetari simili al nostro. Dunque esistevano altri corpi celesti analoghi al Sole, alla Luna e alla Terra.

Nella sua opera De rerum natura (circa 70 a.C.), Lucrezio speculava apertamente della possibilità di vita su altri mondi:

«Pertanto dobbiamo capire che esistono altri mondi in altre parti dell’Universo, con tipi differenti di uomini e di animali.»

Il pensiero di Platone

Dopo che Talete e il suo allievo Anassimandro ebbero aperto le porte a un universo infinito, da parte degli atomisti venne presa una posizione forte sulla pluralità, in particolare con Leucippo, Democrito ed Epicuro. Per quanto si trattasse di pensatori di rilievo, i loro avversari – Platone e Aristotele – ebbero un’influenza maggiore; quest’ultimo sosteneva che la Terra è unica e che non ci potessero essere altri sistemi di mondi. Platone invece ammetteva l’esistenza di altri luoghi e piani eterei oltre quelli conosciuti come terrestri:

«Ritengo che la Terra sia grandissima e che noi, dal Fasi alle colonne d’Ercole, non ne abitiamo che una ben piccola parte, solo quella in prossimità del mare, come formiche o rane intorno a uno stagno; e molti altri popoli vivono anch’essi in regioni un po’ simili alle nostre. Infatti, sparse su tutta la superficie terrestre vi sono cavità di ogni specie, per forma e per grandezza, nelle quali si raccolgono l’acqua, la nebbia e l’aria. Ma la terra vera e propria, la terra pura si libra nel cielo limpido, dove son gli astri, in quella parte chiamata etere da coloro che sogliono discutere di queste questioni; ciò che confluisce continuamente nelle cavità terrestri non è che un suo sedimento.

…e ancora

Noi che viviamo in queste fosse non ce ne accorgiamo e crediamo di essere alti sulla terra, come uno che stando in fondo al mare credesse di essere alla superficie e vedendo il sole e le altre stelle attraverso l’acqua, scambiasse il mare per il cielo; costui non è mai riuscito, per inerzia o debolezza, a salire alla superficie del mare e non ha mai, così, potuto osservare, emergendo dalle onde e sollevando il capo verso la nostra dimora, quanto essa fosse più pura e più bella della sua, né ha sentito mai parlarne da qualcuno che l’abbia vista. […] Lì vi sono anche boschi sacri e templi, dove realmente abitano gli dei e si avverano oracoli e profezie, per cui, veramente, quegli uomini hanno contatti visibili e rapporti concreti con le divinità.

E il sole, la luna e le stelle essi li vedono come sono in realtà e v’è ogni altra beatitudine che s’accompagna a queste cose». (Platone, Fedone, LVIII-LIX)

Illuminismo

La Terra al centro del cosmo (Andreas Cellarius, Harmonia Macrocosmica, 1660/61)
La Terra al centro del cosmo (Andreas Cellarius, Harmonia Macrocosmica, 1660/61)

Nel corso della rivoluzione scientifica e della conseguente Età dei lumi, la pluralità dei mondi divenne una possibilità considerata dall’opinione generale. Le Conversazioni sulla pluralità dei mondi di Bernard le Bovier de Fontenelle speculava sulla pluralità e descriveva la nuova cosmologia copernicana. In un viaggio fantastico attraverso il sistema solare, l’autore spiegava le nuove concezioni scientifiche del tempo. Narrava della presenza di civiltà su Mercurio, Venere e Saturno. Rimase lo scritto più popolare del genere fino alla fine del XVIII secolo.

La pluralità fu inoltre sostenuta da filosofi come John Locke, da astronomi come William Herschel e anche da politici, tra i quali John Adams e Benjamin Franklin.

L’astronomo francese Camille Flammarion fu uno dei principali sostenitori della pluralità durante la seconda metà del XIX secolo. Il suo primo libro, La pluralità dei mondi abitati (1862), fu un grande successo popolare, con 33 edizioni nei vent’anni successivi alla sua prima pubblicazione. Flammarion fu tra i primi a proporre l’idea che gli esseri extraterrestri fossero davvero alieni, e non semplicemente variazioni delle creature terrestri.

Pensiero scientifico moderno sulla pluralità dei mondi

Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento il dibattito strettamente filosofico-teologico sulla “pluralità dei mondi” venne superato dall’avanzare e diversificarsi della conoscenza scientifica . Le speculazioni sulla vita extraterrestre si focalizzarono sui corpi particolari e osservazioni.

Lo scenario filosofico-metafisico della pluralità dei mondi vede una possibile traduzione nel linguaggio della scienza moderna nella teoria della panspermia. Questa fu proposta agli inizi del Novecento dal chimico e premio Nobel svedese Svante Arrhenius. Egli immaginava che la vita possa essere stata condotta in tutto il cosmo da spore (batteri intrappolati in proteine) presenti nello spazio.

Nell’ultimo quarto del XX secolo a riprendere la teoria sono stati agli astronomi Fred Hoyle e Chandra Wickramasinghe. Nel primo decennio del XXI secolo la teoria ha ricevuto alcune prime conferme sperimentali nel ritrovamento, da parte della sonda spaziale Stardust, di tracce di ammine e lunghe catene carboniose nei materiali raccolti dalla cometa Wild 2.

Panspermia guidata

Negli anni settanta il premio Nobel Francis Crick propose con Leslie Orgel la cosiddetta panspermia guidata (o diretta). Essa teorizza che le spore siano state seminate in luoghi adatti allo sviluppo della vita da una o più civiltà avanzate diffuse nell’universo. Tuttavia in seguito lo stesso Crick dichiarò di essere stato eccessivamente pessimista sulle possibilità di un’origine terrestre della vita.

Fu necessario attendere il 1920, anno del “Great Debate” (grande dibattito), per vedere degli astronomi riuniti a discutere con metodi scientifici sulla pluralità delle galassie. Portarono diverse tesi sostenute da Harlow Shapley e Heber D. Curtis sulla scala dell’universo.

Curtis sosteneva che l’Universo fosse composto di molte galassie come la nostra, identificate dagli astronomi di allora come “nebulose a spirale”. Shapley sosteneva che queste “nebulose” fossero semplici nubi di gas nelle immediate vicinanze e che l’Universo fosse composto da una sola grande Galassia. Nel modello di Shapley, il nostro Sole era lontano dal centro di questo grande universo/galassia. Curtis poneva al contrario il Sole vicino al centro della nostra galassia relativamente piccola.

Paradosso di Fermi

Il dibattito ebbe una parziale soluzione alla metà degli anni venti, quando l’astronomo Edwin Hubble, utilizzando il più grande telescopio di allora, dimostrò che la distanza della galassia di Andromeda (M31) è superiore anche all’estensione proposta da Shapley della nostra, la Via Lattea, pertanto quella di Andromeda era una galassia molto simile alla Via Lattea.

Nel 1930 ulteriori scoperte portarono all’accettazione che le dimensioni della Via Lattea erano state sottostimate e che il Sole non era vicino al suo centro. Shapley si dimostrò pertanto più corretto riguardo alle dimensioni della nostra Galassia e alla posizione del Sole in essa. Curtis dimostrò che il nostro Universo era composto da molte altre galassie.

Il generale ottimismo sulla presenza di vita anche intelligente nell’universo si scontrò nel 1950 e negli anni seguenti con il cosiddetto paradosso di Fermi, attributo al fisico Enrico Fermi, che pone una fondamentale questione empirica: “Dove sono tutti quanti?” Se ci sono così tante civiltà evolute, perché non sono ancora state ricevute prove di vita extraterrestre come trasmissioni di segnali radio, sonde o navi spaziali? Si considera pertanto che probabilmente le civiltà nell’universo siano abbastanza distanti tra di loro (ipotesi della rarità della Terra) e che due civiltà vicine assai difficilmente possano raggiungere nello stesso tempo uno stadio paragonabile di evoluzione, tale da riuscire a comunicare tra di loro.

Equazione di Drake e principio di mediocrità

D’altro canto nel 1961 venne formulata l’Equazione di Drake, che propone un metodo per stimare il numero di civiltà extraterrestri in grado di comunicare esistenti nella nostra galassia, giungendo a risultati piuttosto ottimisti e dando un argomento a favore della ricerca delle intelligenze extraterrestri tramite radiosegnali (progetto SETI); il problema è che i parametri di questa equazione si conoscono con troppa incertezza di misura (i valori correlati all’abitabilità planetaria, per esempio) o il loro valore allo stato attuale non è proprio determinabile empiricamente (non disponiamo di misurazioni statistiche della durata media di una civiltà evoluta), così diventa impossibile dare un numero senza che esso abbia un immenso errore assoluto.

Il dibattito storico sulla “pluralità dei mondi” continua dunque ad avere un parallelo moderno: Carl Sagan e Frank Drake, ad esempio, sostenitori del principio di mediocrità, potrebbero essere considerati “pluralisti”, mentre i sostenitori della rarità della Terra dei moderni scettici.