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Xenobots: primi robot viventi ovvero delle macchine biologiche

Per la prima volta gli scienziati hanno progettato e creato delle macchine completamente biologiche… stiamo parlando degli Xenobots, una forma di vita completamente nuova (così come ha affermato l’Università del Vermont, che ha condotto la ricerca con la Tufts University), ovvero una sorta di robot viventi ed autorigeneranit!

Ecco le osservazioni di Antonio De Simone, dell’istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.

“Possiamo definirle robot viventi oppure organismi multicellulari artificiali, perché svolgono funzioni diverse da quelle naturali” – In pratica hanno riprogrammato delle cellule viventi – “grattate via da embrioni di rana, assemblandole in una forma di vita completamente nuova” – In poche parole sono degli – “aggregati di cellule che interagiscono tra loro, comportandosi collettivamente in un modo complesso e diverso da quello che avrebbero naturalmente. Si tratta di comportamenti elementari, come muoversi insieme in una direzione o in cerchio”.

Gli xenobots sono stati creati attraverso l’uso di cellule staminali embrionali di rane, infatti non a caso il loro nome deriva proprio dalla rana artigliata africana chiamata Xenopus laevis.

Tuttavia, pur avendo lo stesso Dna della rana, non sono affatto delle rane, bensì sono delle forme viventi riconfigurate per fare qualcosa di “nuovo”. Sempre De Simone ha affermato che la novità… “è stata soprattutto utilizzare un algoritmo per generare il comportamento e l’evoluzione delle cellule”.

Sono grandi meno di un millimetro (0,04 pollici), possono “camminare”, nuotare, vivere per settimane in assenza di cibo e lavorare insieme ad altri simili e rimodellate in particolari “forme del corpo”.

Ecco le dichiarazioni di Joshua Bongard, uno dei principali ricercatori dell’Università del Vermont:

“Non sono né un robot tradizionale né una specie conosciuta di animali. È una nuova classe di artefatti: un organismo vivente, programmabile.”

Inoltre potrebbero viaggiare all’interno del corpo umano così da poter somministrare farmaci o ripulire le arterie, ma potrebbero anche svolgere una funzione di “spazzini” e catturare le particelle di plastica negli negli oceani.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista dell’Accademia americana delle scienze, Pnas, è il frutto della collaborazione degli informatici dell’Università del Vermont guidati da Sam Kriegman e Joshua Bongard e del gruppo di biologi dell’università Tufts e dall’Istituto Wyss dell’Università di Harvard, coordinati da Michael Levin e Douglas Blackiston.