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Progetto SETI: comunicazione con civiltà extraterrestri

Il Progetto SETI (Search for Extra Terrestrial Intelligence) è un progetto nato nel 1960 ad opera dell’astronomo Frank Drake, con lo scopo di cercare forme di vita intelligenti fuori dal Sistema solare. In questo contesto, vi sono stati numerosi progetti di ricerca tramite radiotelescopi per rilevare eventuali messaggi provenienti da altre civiltà, finanziati anche da privati. Le ricerche svolte dal SETI sono di vario tipo:

  • targeted search (osservazione accurata di specifici target);
  • serendipity mode (collocare un ricevitore ad un radiotelescopio che sta compiendo altre ricerche e riceverne passivamente i dati);
  • survey (esplorazione uniforme di tutto il cielo).

Poiché questi progetti producono una notevole quantità di dati, è stato avviato il progetto SETI@home. È possibile installare sul proprio computer un software che analizzi i dati raccolti nell’ambito del progetto SETI. Tutto ciò al fine di ridurre la mole di lavoro degli scienziati. Ci sono milioni di persone in più di 200 Paesi che partecipano al progetto e, nel complesso, hanno dato un contributo equivalente a milioni di anni di analisi.

Radiotelescopio di Arecibo

Il simbolo più famoso del progetto SETI è il radiotelescopio di Arecibo, situato nell’isola di Porto Rico e con un’antenna di circa 300 m di diametro. Dal 1963, questo telescopio è usato, più di ogni altro, per cercare segnali radio provenienti da altre civiltà, senza successo. La frequenza a cui ci si aspetta di trovare segnali inviati da altre civiltà è quella caratteristica dell’atomo di idrogeno. Essendo quest’ultimo l’elemento più abbondante dell’universo, una civiltà intelligente dovrebbe conoscerlo e dovrebbe quindi conoscerne le emissioni caratteristiche. Questa frequenza è quella a 1420 MHz, corrispondente a una lunghezza d’onda di 21 cm. Altre proposte riguardano l’ascolto alla lunghezza d’onda di 17 cm, ovvero quella tipica dell’ossidrile, oppure a multipli e divisori di queste lunghezze d’onda.

Il progetto SETI non si è limitato ad ascoltare, ma ha anche tentato di inviare messaggi. Nel 1974, dall’omonimo radiotelescopio, venne inviato il messaggio di Arecibo: una trasmissione radio della durata di 3 minuti verso l’ammasso stellare M13, a circa 25000 anni luce di distanza, alla frequenza di 2381 MHz.

Messaggio in codice binario

Il messaggio rappresenta alcuni aspetti significativi della vita umana: i numeri da 1 a 10, i numeri degli elementi atomici alla base della vita, la formula chimica del DNA, il numero di nucleotidi nel DNA, una rappresentazione dell’elica dello stesso DNA, la figura stilizzata di un essere umano, il numero di esseri umani sulla Terra all’epoca, una schematizzazione del Sistema solare e una rappresentazione schematica del radiotelescopio di Arecibo. Il tutto è interamente scritto in codice binario, poiché si suppone che una civiltà dotata di tecnologia conosca tale sistema numerico. Essendo l’ammasso M13 così lontano, non è possibile aspettarsi una risposta, sempre che qualcuno riceva il messaggio, prima di 50000 anni. Quindi, l’invio di questo messaggio fu più un atto simbolico che un reale tentativo di comunicazione con civiltà aliene.

Messaggi su sonde spaziali

Il radiotelescopio di Arecibo, impegnato anche nella ricerca di segnali da intelligenze extraterrestri (SETI)
Il radiotelescopio di Arecibo, impegnato anche nella ricerca di segnali da intelligenze extraterrestri (SETI)

Gli esseri umani hanno fatto altri tentativi di comunicazione oltre al messaggio di Arecibo. Nel 1972 e nel 1973 vennero lanciate dalla NASA le sonde Pioneer 10 e Pioneer 11 rispettivamente, entrambe dirette all’esplorazione del Sistema solare, in particolare di Giove e Saturno. Completata la loro missione, le spedirono su orbite che le avrebbero portate fuori dal Sistema solare stesso. Su di queste si piazzatono due piastre di alluminio anodizzato in oro (15,24 x 22,96 cm) recanti alcune immagini significative, nella speranza che una civiltà intelligente le possa un giorno trovare ed interpretare. Tra queste, spicca la rappresentazione della posizione della Terra rispetto alle pulsar più vicine, con i rispettivi periodi espressi nel sistema binario.

Una cosa molto simile si è svolta per le sonde Voyager 1 e Voyager 2, lanciate ne 1977 e dirette verso l’esplorazione di Giove, Saturno, Urano e Nettuno. Queste recano dei dischi microsolco dorati, a lettura meccanica come i dischi fonografici in vinile, contenenti sia immagini che suoni rappresentativi del nostro pianeta e della nostra cultura, tra cui messaggi in 55 lingue, 35 suoni umani e 27 opere musicali.

Protocollo SETI – post scoperta dell’ONU

Nel caso in cui un osservatorio rilevi un segnale inviato ipoteticamente da una civiltà intelligente, esiste una ben precisa procedura da seguire. Questo è il Protocollo SETI di post-rilevazione. La persona che rileva tale messaggio è tenuto ad informare altri osservatori. Quiesti ultimi hanno il compito di studiare il segnale per confermare o smentire la possibile origine aliena. In caso di smentita, l’origine è da ritenersi temporaneamente sconosciuta. Se si ha una conferma, bisogna informare l’Ufficio Telegrammi Astronomici dell’Unione Astronomica Internazionale, il Segretario Generale dell’ONU, i principali organismi di telecomunicazioni e le agenzie spaziali.

In seguito, l’Unione internazionale delle telecomunicazioni di Ginevra ha il compito di minimizzare le trasmissioni alla frequenza a cui è stato rilevato il segnale, per facilitarne lo studio. L’Unione Astronomica Internazionale ha il compito di informare il mondo scientifico e, in seguito, tutti i Paesi del mondo. L’ONU deve quindi nominare una speciale commissione, il cui compito è decidere se e come rispondere. Poiché un’eventuale risposta deve essere rappresentativa di tutta la razza umana, la decisione deve godere di ampio appoggio internazionale.

Paradosso di Fermi

Nonostante più di mezzo secolo di ricerche SETI, nessun si è mai captato un segnale da parte di una intelligenza extraterrestre. Questo comporta una riflessione che è detta Paradosso di Fermi. Il paradosso di Fermi, che pare sia stato formulato dal fisico Enrico Fermi negli anni cinquanta, è riassumibile con la frase: «Se la nostra galassia pullula di civiltà extraterrestri, come mai non siamo ancora entrati in contatto con esse?».

Questo paradosso si collega al dibattito relativo all’equazione di Drake, la quale rappresenta una stima del numero di civiltà intelligenti e in grado di comunicare nella Via Lattea. Non esiste un valore ufficiale per questa stima, poiché il risultato dipende fortemente dalle assunzioni fatte. Gli scettici fanno assunzioni tali per cui il risultato è che la nostra deve essere l’unica civiltà intelligente nella galassia. Gli ottimisti arrivano a stimare anche molte migliaia di civiltà in grado di comunicare (fra questi, spicca il noto autore di fantascienza e divulgatore scientifico Isaac Asimov).

In quest’ottica, il paradosso di Fermi viene visto come un’argomentazione a sostegno dell’ipotesi della rarità della Terra: il fatto che l’umanità non sia ancora entrata in contatto con nessuna civiltà aliena deve implicare che non esista nessuna civiltà all’infuori della nostra. Il ragionamento è di per sé fallace, in quanto l’assenza di prove non è una prova dell’assenza di qualcosa. Tuttavia, questo offre diversi spunti di riflessione riguardo al dibattito sulla possibile esistenza di forme di vita aliene.

Altre possibili soluzioni

Ci sono comunque diverse possibili soluzioni a questo paradosso (a parte quella secondo cui l’umanità è l’unica civiltà intelligente nella galassia). Per esempio, potrebbe darsi che le civiltà intelligenti abbiano vita breve. Quindi ne sono esistite alcune nel passato oppure ne esisteranno altre nel futuro con cui non potremo entrare in contatto.

Si può anche ipotizzare che:

  • esistano altre civiltà, ma le distanze interstellari siano troppo grandi per consentire qualunque tipo di spostamento o di comunicazione efficace per mancanza di energia sufficiente.
  • Oppure queste potrebbero esistere ma non essere interessate al comunicare, per motivi etici o religiosi di rifiuto della tecnologia
  • …o perché vivono in ambienti sotterranei o subacquei, oppure ancora perché usano forme di comunicazione diverse dalle onde radio.
  • Infine esse potrebbero effettivamente comunicare ma in una maniera che non possiamo recepire o comprendere.

Incontri tra civiltà diverse

Nel corso della storia umana, sono avvenuti innumerevoli casi di incontri tra una civiltà più evoluta e una più primitiva. Ovviamente quest’ultima ha sempre avuto la peggio. Un primo esempio è la deportazione e il confinamento in riserve e lo sterminio dei nativi del Nord America ad opera degli Europei. Vi è poi il caso degli spagnoli e dei portoghesi che hanno conquistato le popolazioni dell’America Centrale e Meridionale, tra cui i Maya, gli Aztechi e gli Incas, sfruttandone le risorse e cancellando la maggior parte delle testimonianze della loro civiltà.

Gli Aztechi o Tenocha e gli Incas avevano a loro volta conquistato e cancellato culture precedenti insediatesi nei territori conquistati. Destino simile venne riservato agli aborigeni australiani, sempre ad opera gli europei. Altre stragi involontarie si sono verificate a causa di epidemie di morbillo o altre malattie a cui gli occidentali sono resistenti o vaccinati che sono entrati in contatto, sia pur con buone intenzioni, con popolazioni isolate che non avevano mai avuto contatto con altri popoli.

In quest’ottica ci si chiede se sia effettivamente auspicabile l’incontro con un’eventuale civiltà aliena tecnologicamente molto avanzata. Il rischio è, appunto, quello di essere sterminati a causa della loro superiorità tecnologica oppure a causa degli agenti patogeni da essi trasportati. Quale sarebbe, invece, la reazione dell’umanità al momento di un contatto diretto? Gli scenari possibili sono molteplici: mass media polarizzati verso questo evento, panico nelle strade, dispute internazionali? Un eventuale contatto porterebbe certamente la nostra civiltà ad interrogarsi su molti aspetti religiosi, filosofici e scientifici.