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Buco nero

In astrofisica un buco nero è un corpo celeste con un campo gravitazionale così intenso da non lasciare sfuggire né la materia, né la radiazione elettromagnetica, ovvero una regione dello spaziotempo avente una curvatura sufficientemente grande, relativisticamente parlando, che nulla al suo interno può uscire all’esterno, nemmeno la luce. La velocità di fuga di un buco nero risulta superiore alla velocità della luce, ma poiché la velocità della luce è un limite insuperabile, nessuna particella di materia o radiazione può allontanarsi da quella regione.

Supermassiccio al centro della galassia Messier 87
L’immagine dell’orizzonte degli eventi del buco nero supermassiccio al centro della galassia Messier 87, ottenuta nel 2019 grazie ai radiotelescopi dell’Event Horizon Telescope. Nell’immagine si può osservare l’«ombra» del buco nero. La materia attratta al suo interno, riscaldandosi, emette luce osservabile parzialmente grazie ai radiotelescopi, rendendo osservabile la zona “in ombra” all’interno del buco nero

In un tale corpo la gravità domina su qualsiasi altra forza, sicché si verifica un collasso gravitazionale che tende a concentrare lo spaziotempo in un punto di singolarità di curvatura infinita e di “volume nullo”; per l’oggetto massiccio al centro della regione, che dà luogo al campo gravitazionale, è teorizzato uno stato della materia definito singolarità, cioè con caratteristiche sconosciute ed estranee alle leggi della meccanica che descrivono il comportamento della materia nell’universo a noi noto, e ipotizzando che il valore della sua densità tenda all’infinito.

Orizzonte degli eventi

Attorno al buco nero è presente l’orizzonte degli eventi, la superficie sferica chiusa – geometrica e puramente immaginaria – contenente l’oggetto massiccio, e che delimita la regione dello spazio nella quale si hanno tali condizioni “senza ritorno” ovvero la regione dalla quale classicamente non può uscire alcun segnale: questa superficie (dove la velocità di fuga eguaglia la velocità della luce) può essere attraversata da materia o radiazione che cada verso il buco nero, ma non nel senso opposto.

Un corpo celeste con questa proprietà non può essere osservato direttamente. La sua presenza potrebbe essere rilevata solo rilevando i suoi effetti sulla materia circostante, come le interazioni gravitazionali con altri corpi celesti, o gli effetti sulla materia che vi precipita, o il fenomeno della lente gravitazionale. L’esistenza di buchi neri è oggi attestata. Sono state raccolte numerose osservazioni astrofisiche interpretabili (anche se non univocamente) come indicazioni dell’effettiva esistenza di buchi neri nell’universo in fenomeni diversi, come le galassie attive o le binarie X.

Cenni storici

Buco nero al centro della galassia NGC 4261
Buco nero al centro della galassia NGC 4261, distante 100 milioni di anni luce da noi, nella costellazione della Vergine

Nella fisica classica era stata teorizzata la possibilità che un corpo avesse una massa così grande da non consentire, nemmeno alla luce, di superare la velocità di fuga, ragione per cui, tale corpo sarebbe risultato invisibile. Nel 1783 lo scienziato inglese John Michell suggerì in una lettera a Henry Cavendish che la velocità di fuga da un corpo celeste potrebbe risultare superiore alla velocità della luce, dando luogo a quella che egli chiamò una “stella oscura“. Nel 1798 Pierre-Simon de Laplace riportò quest’idea nella prima edizione del suo Traité de mécanique céleste.

Il termine “buco nero” è stato coniato dal fisico John Archibald Wheeler. L’aggettivo “nero” deriva dal fatto che non può emettere luce. Il fatto che nessuna particella che vi fosse catturata possa più riemergere (nemmeno i fotoni) è la ragione del termine “buco”.

Teoria della relatività ristretta

Da un punto di vista relativistico invece, un concetto di buco nero venne teorizzato dal fisico Karl Schwarzschild nel 1916, solo un anno dopo la pubblicazione della teoria della relatività generale.

Schwarzschild calcolò che un corpo ipoteticamente dotato di altissima densità produrrebbe nelle sue vicinanze una deformazione tale che la luce in allontanamento da esso tenderebbe a subire uno spostamento verso il rosso gravitazionale infinito. L’unica forza nota nell’universo in grado di sviluppare una tale intensità è la forza di gravità, in presenza di una grande quantità di materia.

I buchi neri secondo la relatività generale

Buco nero in una rappresentazione artistica
Buco nero in una rappresentazione artistica

Nel 1915, Albert Einstein sviluppò la sua teoria della relatività generale, avendo in precedenza dimostrato che la forza gravitazionale influenza la luce. Solo pochi mesi dopo, Karl Schwarzschild trovò una soluzione per le equazioni di campo di Einstein. Pochi mesi dopo Schwarzschild morì e Johannes Droste, uno studente di Hendrik Lorentz, diede in modo indipendente la stessa soluzione, approfondendone le proprietà.

Questa soluzione ebbe una strana influenza sul raggio di Schwarzschild, che diventò una singolarità, nel senso che alcuni dei termini dell’equazione di Einstein divennero infiniti. La natura di questa superficie non era compresa pienamente a quei tempi. Nel 1924, Arthur Eddington dimostrò che la singolarità cessava di esistere con una variazione di coordinate. Si dovette aspettare fino al 1933, quando Georges Lemaître si rese conto che la singolarità del raggio di Schwarzschild era una singolarità coordinata non fisica.

Nel 1931 Subrahmanyan Chandrasekhar calcolò, utilizzando la relatività speciale, che un corpo non rotante di elettroni-materia degenere non ha soluzioni stabili.

Altre teorie

Questa teoria era in parte corretta. Una nana bianca collasserà in una stella di neutroni, la quale è essa stessa stabile a causa del principio di esclusione di Pauli. Nel 1939 Oppenheimer e altri previdero che le stelle di neutroni con massa pari a circa tre volte il Sole sarebbero collassate in buchi neri. Conclusero che nessuna legge fisica sarebbe intervenuta per fermare il collasso di alcune di queste.

Inoltre interpretarono la singolarità come la superficie di una bolla concentrata di materia in cui il tempo può rallentare e addirittura fermarsi. Questa conclusione è valida dal punto di vista di un osservatore esterno, mentre non lo è per un osservatore in caduta nel buco. A causa di questa proprietà, le stelle collassate sono chiamate “stelle congelate“.

Il punto di vista di Albert Einstein

Poiché la soluzione di Schwarzschild descrive il campo gravitazionale nel vuoto, essa rappresenta esattamente il campo gravitazionale all’esterno di una distribuzione di massa con simmetria sferica: un buco nero potrebbe essere teoricamente prodotto da un corpo celeste massivo solo se il corpo celeste avesse raggio inferiore al raggio di Schwarzschild corrispondente alla sua massa totale. Einstein concluse che per raggiungere una simile densità le particelle materiali avrebbero dovuto superare la velocità della luce, in contrasto con la relatività ristretta:

«Il risultato fondamentale di questo studio è la chiara comprensione del perché le “singolarità di Schwarzschild” non esistono nella realtà fisica.» (A. Einstein)

La replica di Raychaudhuri

In realtà Einstein aveva basato i suoi calcoli sull’ipotesi che i corpi che collassano orbitino intorno al centro di massa del sistema. Nello stesso anno Robert Oppenheimer e H. Snyder mostrarono che la densità critica può essere raggiunta quando le particelle collassano radialmente. Successivamente anche il fisico indiano A. Raychaudhuri mostrò che la situazione ritenuta da Einstein non fisicamente realizzabile è, in realtà, perfettamente compatibile con la relatività generale:

«[In questo lavoro] si ottiene una soluzione non statica delle equazioni gravitazionali di Einstein che rappresenta un aggregato, dotato di simmetria sferica, di particelle che si muovono radialmente in uno spazio vuoto. Benché Einstein abbia ritenuto che la singolarità di Schwarzschild sia fisicamente irraggiungibile, poiché la materia non può essere concentrata arbitrariamente, la presente soluzione sembra dimostrare che non vi è un limite teorico al grado di concentrazione, e che la singolarità di Schwarzschild non ha significato fisico in quanto compare solo in particolari sistemi di coordinate.» (A. Raychaudhuri)

Attuali teorie

Secondo le teorie attualmente considerate, un buco nero può formarsi solamente da una stella che abbia una massa superiore a 2,5 volte circa quella del Sole. Non è esclusa la possibilità che un buco nero possa avere origine non stellare, come si suppone ad esempio per i cosiddetti buchi neri primordiali.